La società delle api
La prima e forse più specifica caratteristica delle api è il loro modo di vivere in comunità. Un’ape da sola non può vivere: per sua natura può sopravvivere solo grazie al gruppo del quale fa parte, la “famiglia” o “colonia” di api, per questo si parla dell’alveare come un super-organismo.
L’ape regina è l’unica femmina feconda dell’alveare, l’unica in grado di riprodursi. Il suo compito nell’alveare è proprio quello di generare i componenti della colonia, in modo da darle la necessaria continuità. Nella stagione di attività, ogni giorno depone diverse centinaia di uova, dalle quali nasceranno soprattutto api femmine, ma sterili, le api operaie.
Le api operaie costituiscono la stragrande maggioranza della colonia e sono loro a svolgere tutte le mansioni necessarie per la quotidiana sopravvivenza e sono i loro comportamenti a determinare le svolte importanti nella vita della colonia. Ogni ape operaia vive da alcune settimane a diversi mesi, secondo la stagione, e il perpetuarsi della colonia è assicurata dal continuo ricambio.
Il terzo componente della famiglia delle api è il maschio, il fuco, che ha, come unico compito, quello riproduttivo. Non contribuisce in altro modo al sostentamento della famiglia e, per questo, la sua presenza nell’alveare è limitata ai periodi in cui la famiglia si moltiplica attraverso il processo della sciamatura (primavera ed estate).
Cosa fanno le api nell’alveare?
Uno dei compiti principali delle api operaie è quello di procurare il cibo per tutta la colonia. Gli alimenti delle api, nettare, polline e melata, vengono prodotti dalle piante e le api operaie perlustrano il territorio in lungo e in largo per trovarli, raccoglierli e immagazzinare nell’alveare per i momenti di necessità. Rientrate nell’alveare, le api raccoglitrici (bottinatrici) scaricano il loro carico alle api che popolano l’alveare (le cosiddette “api di casa”). Queste provvedono ad asciugare il nettare e a trasformarlo così in miele attraverso meccanismi in cui il raccolto è semplicemente esposto all’aria calda e asciutta dell’alveare; una prima fase dell’asciugatura avviene sulla “bocca” delle stesse api di casa, che riemettono e riassorbono più volte la gocciolina di miele in formazione; in una seconda fase il miele quasi pronto viene deposto nelle celle dei favi, riempite solo parzialmente e lasciate aperte perché il processo di evaporazione si completi.
Quando il nettare si sarà trasformato in miele, quando cioè avrà perso sufficiente umidità da non essere più attaccabile dai normali microrganismi degradativi, le api sigilleranno le celle con uno strato di cera secreta da loro stesse (opercolo), per bloccare gli scambi di umidità ed assicurare la conservazione del prodotto (miele “maturo”). In tutto questo ha un ruolo importante il fatto che la colonia sia in grado di regolare temperatura e umidità dell’alveare: anche in questo caso sono le api operaie a farlo, producendo calore con la contrazione muscolare quando è necessario scaldare, ventilando con le ali quando è necessario il ricambio di aria e il raffreddamento, eventualmente raccogliendo acqua all’esterno e versandola sui favi quando è necessaria una riduzione della temperatura più drastica.
Un tratto specifico della vita dell’alveare è la condivisione del cibo: le sostanze nutritive introdotte nell’alveare passano da un’ape all’altra, di bocca in bocca, in modo che le risorse, poche o tante, vengano equamente suddivise. Questo meccanismo, che ha un nome specifico, trofallassi, serve a far sì che ogni elemento della colonia sia in sintonia con gli altri e per uniformare il comportamento di tutti gli individui.
Il “linguaggio tecnico” delle api
La totalità degli eventi che accadono nella colonia passa attraverso la circolazione di particolari sostanze chimiche emesse dalle api, i feromoni, che funzionano da distributori di informazioni, permettendo così alle api di svolgere, coordinare e regolare nello spazio e nel tempo svariate attività senza fare confusione.
Le api hanno anche un altro sistema per comunicare tra di loro, quella che viene normalmente chiamata “danza delle api”. Quando un’ape bottinatrice deve comunicare alle altre di aver trovato una nuova fonte di cibo, per indicare la direzione, la distanza e il tipo raccolto, lo fa attraverso una danza. Si tratta di un esempio unico, nel mondo animale, di linguaggio simbolico. L’orientamento della danza sul favo comunica alle altre api in che direzione devono dirigersi, uscendo dall’alveare, rispetto alla posizione del sole, per trovare l’alimento. La velocità della danza è proporzionale alla distanza da percorrere e il tipo di risorsa viene comunicata con un piccolo assaggio di quanto trovato.
Un’ape nasce, cresce, muore, ma l’alveare è eterno
La vita dell’alveare è assicurata dal continuo ricambio di api operaie. L’ape regina depone un uovo per ogni celletta; l’uovo viene accudito dalle api operaie e la larvicina che ne nasce 3 giorni dopo viene alimentata con una miscela di miele, polline e pappa reale, una secrezione ghiandolare che per le api ha lo stesso significato del latte dei mammiferi.
Sono le giovani api operaie adulte a fare da nutrici alle sorelle più giovani, mantenendole al caldo con il loro corpo, raffreddandole con la ventilazione se necessario ed alimentandole secondo le necessità. Dopo alcuni giorni le larve, ormai ingrossate sono pronte a trasformarsi in api adulte, attraverso il complesso processo di metamorfosi. In questa fase le larve, che si stanno trasformando in pupe e quindi in adulte, cessano di alimentarsi e vengono lasciate tranquille sotto uno strato di cera con il quale le celle vengono sigillate in questo delicato periodo. Una volta diventate adulte le api operaie possono vivere da alcune settimane ad alcuni mesi, secondo la stagione. Un alveare è costituito da diverse migliaia di individui, di meno durante l’inverno e fino a 50.000 nella stagione di attività.
La sciamatura, ovvero la riproduzione del super-organismo alveare
La vita dell’alveare prevede che l’ape regina deponga uova, dalle quali nascono api operaie che permettono all’alveare di rimanere popolato e di sopravvivere da un anno all’altro, nonostante la breve durata della vita delle api operaie. L’ape regina può vivere alcuni anni, ma come si assicura la continuità dell’alveare quando la vecchia regina muore? In questo caso alcune delle uova “normali”, da operaia, vengono accudite in modo particolare dalle api nutrici, che modificano la forma delle celle e sovra-alimentano le larve con pappa reale. Queste larve speciali si trasformeranno in api regine. Giovani api regine vengono allevate non solo quando la vecchia regina viene a mancare, ma anche ogni primavera, quando le risorse sono più abbondanti e l’alveare è più popolato. Si scatena in questo caso un meccanismo che permette agli alveari di moltiplicarsi e alla specie di perpetuarsi. In questo periodo vengono allevate nuove api regine e quando stanno per uscire dalle celle reali, la vecchia regina e una parte delle api operaie abbandona l’alveare per cercare una nuova casa. Il gruppo di fuoriuscite è lo “sciame”.
All’alveare di partenza resta in dote la casa: delle regine che restano, la prima a nascere si preoccupa, come prima cosa, di far fuori le rivali prima ancora che escano dalle celle reali. Dovrà quindi uscire per compiere il cosiddetto volo nuziale, accoppiandosi con diversi fuchi e fare così una scorta di seme maschile che dovrà bastarle per diversi anni. Rientrata nell’alveare inizierà a deporre uova e non farà altro per il resto della sua vita.
La casa delle api
In natura le api cercano riparo in cavità naturali quali alberi cavi e anfratti nelle rocce, ma al giorno d’oggi è più facile trovare uno sciame naturale in manufatti quali, camini, cassonetti delle tapparelle, intercapedini delle costruzioni. Nell’apicoltura moderna l’apicoltore fornisce alle sue api alloggi adeguati, le arnie. All’interno di questi ripari, naturali o artificiali, le api costruiscono i loro favi di cera, ognuno costituito da migliaia di cellette con contorno esagonale. Le celle servono da culla per le giovani api e da scaffale per le provviste. I favi delle api sono modellati dalle api operaie con cera, una sostanza che esse stesse producono per secrezione; in questo differiscono dai favi di vespe e calabroni, che sono invece costruiti con pasta di cellulosa che questi insetti ricavano dai vegetali.
La ricerca del cibo
Molti tipi di insetti si nutrono sui fiori, alcuni li rosicchiano completamente, ma molti si appropriano di sostanze alimentari prodotte dal fiore stesso senza danneggiarlo, anzi svolgendo per la pianta un servizio inestimabile. Infatti molti fiori offrono agli insetti un liquido zuccherino (il nettare) che gli insetti utilizzano come alimento. Questi però visitando i fiori, si fanno inconsapevoli vettori del polline, l’equivalente dell’elemento germinale maschile, e permettono così l’impollinazione di piante anche lontane tra di loro (impollinazione incrociata). La riproduzione di molte piante è quindi possibile solo grazie all’azione degli insetti impollinatori.
Il nettare è un liquido zuccherino prodotto dai fiori; per le api è il pane quotidiano, fonte di carboidrati e quindi di energia. Trasformato in miele, grazie a un processo di evaporazione dell’acqua in eccesso, costituisce la scorta di cibo per l’inverno. Per trasportare il nettare, l’ape lo introduce nel proprio corpo, sorbendolo e trattenendolo in una speciale tasca dell’esofago, la borsa melaria.
Il polline è la struttura alla quale le piante superiori affidano il trasporto dei gameti maschili ed ha quindi una funzione essenzialmente riproduttiva. È però ricco di sostanze alimentari nobili (proteine e vitamine) e costituisce un prezioso alimento per moltissimi insetti.
I fiori in genere ne producono quantità molto più abbondanti rispetto a quello che sarebbe strettamente necessario per la fecondazione ed è facilmente visibile all’estremità degli stami sotto forma di una polvere spesso vivacemente colorata. Le api lo raccolgono grazie a un sistema di “spazzola e pettine”: il polline resta aderente ai folti peli che ricoprono il corpo dell’ape. Con le zampe l’ape si spazzola il corpo e raccoglie così il polline, che poi impasta con una gocciolina di nettare e fa aderire a una speciale parte delle zampe posteriori, la cestella del polline.
In natura le api dispongono di un’altra fonte di cibo zuccherino: si tratta della melata. Si chiamano “melata” le secrezioni zuccherine di diversi insetti che si nutrono della linfa delle piante. Per ottenere le quantità necessarie di sostanze nobili di cui hanno bisogno per vivere e moltiplicarsi, questi insetti (afidi, cicaline, cocciniglie) sono costretti ad assorbire quantità enormi di linfa. Dopo avere trattenuto le componenti più preziose, emettono all’esterno dei prodotti di scarto in cui le sostanze nutritive, e in particolare gli zuccheri, sono ancora molto abbondanti. In natura un simile spreco non è tollerato! E api e formiche vi pongono rimedio, riciclando queste secrezioni. Le api utilizzano le melate come il nettare, per alimentarsi e per farne miele, il miele di melata, appunto, caratterizzato da un colore molto scuro e da una particolare ricchezza nutrizionale rispetto ai mieli di nettare.
Arma letale
In natura una riserva di cibo come quella che si nasconde nell’alveare è rara e fa gola a moltissimi predatori. Per questo le api sono dotate di una efficientissima arma di difesa, senza la quale non potrebbero difendere il frutto del loro lavoro, indispensabile alla sopravvivenza della colonia nei mesi invernali. Tutte le api operaie sono dotate di questo sistema di difesa, il pungiglione, con il quale iniettano un veleno potentissimo nei loro nemici; lo usano però solo in caso di necessità, in quanto è un’arma a doppio taglio. L’ape che ha punto è destinata a morire: si capisce quindi bene perché non sia conveniente per le api usare tale arma. Un’ape intenta nelle proprie occupazioni quotidiane lontano dall’alveare non ha nessun istinto aggressivo e nessuna voglia di pungere, mentre è vero il contrario per le api che stazionano sulla porta di casa per pattugliare i dintorni.
Api e ambiente
Per l’ambiente, le api e gli altri impollinatori svolgono un ruolo fondamentale. Infatti è grazie a loro che molte delle piante con fiori possono riprodursi, sfruttando il loro corpo per inviare il polline da un individuo all’altro.
Nel mondo moderno il ruolo delle api è ancora più importante, visto che in molte aree la densità degli impollinatori selvatici si è molto ridotta e moltissime piante coltivate hanno bisogno degli impollinatori per produrre (frutti e semi) e riprodursi. Quindi il prodotto di maggior valore dell’apicoltura non è il miele, ma quanto le colture agricole possono produrre grazie all’impollinazione da parte delle api.
Anche nei confronti dell’ambiente l’apicoltura svolge un’azione positiva, contribuendo alla riproduzione delle specie vegetali e favorendone la conservazione. L’apicoltura è forse l’attività produttiva con minor impatto negativo sull’ambiente, in quanto il suo esercizio non danneggia il territorio e le api utilizzano risorse (nettare, melata e polline) la cui sottrazione lascia le piante più ricche e vitali. Invece è drammaticamente evidente come le api soffrano per molte delle attività umane; infatti spargiamo nell’ambiente sostanze per loro fortemente tossiche quali gli insetticidi agricoli, distruggiamo le loro fonti di cibo con gli erbicidi, modifichiamo gli ambienti per loro più favorevoli in mille modi diversi, direttamente con incendi, cementificazione, diffusione di colture industriali, sovra-sfruttamento dei suoli e indirettamente con le modificazioni climatiche, la siccità e la desertificazione che derivano dall’accumulo di anidride carbonica nell’atmosfera.
La mortalità diffusa delle api, di cui si è cominciato a parlare diffusamente a metà degli anni 2000, rende evidente che l’ambiente in cui oggi le api sono costrette a vivere e a cercare i loro alimenti non è più adatto alle loro esigenze.
Se il mondo, così come l’abbiamo ridotto, non è più adatto alla vita delle api, possiamo chiederci se è comunque adatto alla vita umana.
Fonti: