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L’apicoltore, un amico delle api

Un sodalizio antichissimo 

L’uomo ha da sempre sfruttato le risorse accumulate dalle api come goffo predone o più o meno abile sfruttatore. Ancora oggi in alcune parti del mondo i rapporti tra api e uomini sono simili a quelli che esistevano agli albori dell’umanità, quando l’uomo raccoglieva i favi con il miele, il polline e la covata dagli alveari selvatici, scacciando le api adulte con il fumo e preoccupandosi ben poco della sopravvivenza della famiglia di api saccheggiata. Il passo successivo è stato quello in cui l’uomo, invece di cercare nell’ambiente gli alveari selvatici, ha cominciato a fornire alle api dei ricoveri artificiali, in modo da risparmiare energie nella ricerca e assicurarsi la proprietà delle famiglie.

Questi alveari rustici, costruiti nei più diversi materiali secondo l’area del mondo (paglia o alberi cavi in molte zone europee, terracotta nel sud del mediterraneo e nel vicino oriente, sughero in Sardegna) non consentivano in genere una manipolazione dei favi e delle api diversa rispetto a quella attuata sugli alveari selvatici. Questo tipo di apicoltura ha una produttività molto ridotta e persiste solo a livello amatoriale o in alcune aree del mondo, per esempio in molti paesi africani.

L’apicoltura moderna

L’era moderna è cominciata, per l’apicoltura, a metà dell’’800, quando venne inventata dal rev. Lorenzo Langstroh di Filadelfia l’arnia razionale. Su questa invenzione si basano le tecniche usate oggi: le api vengono indotte a costruire i loro favi su cornici appositamente predisposte (telaini), fornendo loro un “invito” costituito da fogli di cera pura montati in queste cornici. Questo consente di rendere l’alveare completamente smontabile e controllabile senza danno per gli occupanti; consente di prelevare i favi, il loro contenuto e le api che li ricoprono senza troppo disturbo per dividere artificialmente le famiglie, ridurne o aumentarne la forza. Inoltre, l’alveare razionale è organizzato in modo poter variare le sue dimensioni secondo le necessità della famiglia, aggiungendo o togliendo moduli. Questo è alla base della moderna produzione di miele: se la casa non diventa mai troppo piccola per la famiglia che la abita, le api non saranno indotte a sciamare e la colonia diverrà molto più popolosa; una famiglia più grande raccoglie e accumula molto più miele rispetto a quello che sarebbe strettamente necessario per superare l’inverno, quando il numero di api si riduce comunque ai minimi termini; l’apicoltore può quindi recuperare la maggior parte del miele accumulato senza rischiare di far morire di fame le sue api.

Il ruolo dell’apicoltore

Anche al momento della raccolta del miele l’apicoltore è facilitato dalla struttura modulare degli alveari moderni, costituiti da più casse sovrapposte: quella più bassa è il “nido”, in cui la regina depone le uova e le api operaie lo popolano durante tutto l’anno; i moduli che vengono via via aggiunti sopra, i “melari”, servono alle api solo per accumulare le scorte di miele, in quanto tra nido e melario viene posta una griglia calibrata in maniera tale da permettere il passaggio delle sole operaie e non della regina, più grossa. Al momento della raccolta l’apicoltore preleverà i soli melari, sostituendoli eventualmente con altri vuoti.

Anche se oggi le api non vengono più depredate, ma accudite e curate, i rapporti tra api e uomini non sono cambiati di molto e le cosiddette “api domestiche”, non sono state per niente addomesticate, né geneticamente modificate rispetto alle loro antenate. Questa situazione è dovuta al fatto che le api si accoppiano in volo, e quindi le api “domestiche” e quelle selvatiche costituiscono un’unica popolazione in cui prevalgono le spinte selettive naturali rispetto a quelle auspicate dagli allevatori. Il risultato è che in migliaia di anni l’uomo non è riuscito a produrre alcun cambiamento nel comportamento delle api e anche oggi non sono le api ad adattarsi alle necessità dell’uomo, ma viceversa. L’uomo è diventato più abile nel non danneggiarle al momento del furto del miele e ha inventato diversi sistemi che, assecondando i naturali istinti dell’ape, hanno come risultato una maggiore produttività.

Pastore d’api

L’apicoltore moderno, quindi, si occupa soprattutto di regolare i comportamenti delle api in modo da ottenere il massimo della produzione; si preoccupa di verificare che tutto proceda secondo il suo corso naturale e interviene per ripristinarlo se necessario; prende provvedimenti quando malattie, parassiti o altri nemici naturali delle api le minacciano; si preoccupa di fornire alle api sufficienti risorse per la loro sopravvivenza o per un’abbondante produzione di mieli pregiati trasportando gli alveari nei luoghi delle fioriture e le nutre quando le risorse naturali si rivelano insufficienti. Il nomadismo, cioè lo spostamento degli alveari dalle aree di svernamento a quelle produttive, è una pratica indispensabile per la produzione moderna e avviene nelle ore notturne, quando tutte le api sono rientrate nell’alveare.

La nutrizione degli alveari è un’altra pratica indispensabile, in quanto l’alveare si può trovare in carenza di cibo quando finiscono la maggior parte delle riserve, soprattutto nelle zone con inverno freddo e lungo o in caso di maltempo non previsto. L’alimentazione avviene in assenza di melari e le sostanze somministrate, in genere sciroppi zuccherini, sono consumate dagli insetti ed eventualmente immagazzinate nel nido, ma non sono presenti nel miele da destinare al consumo.

Mieli uniflorali e millefiori

Ingrediente necessario per la produzione di miele è un ambiente ricco di fioriture e poco toccato dalle attività umane; anche l’agricoltura può essere una nemica delle api e della produzione, a causa dell’impiego di agro-farmaci, in particolare insetticidi. Quindi le zone di maggiore produzione apistica sono le zone verdi del mondo, in particolare quelle in cui anche lo sfruttamento agricolo è molto ridotto; anche se sono comuni i mieli di piante coltivate, la maggior parte delle produzioni mondiali si ottiene da piante selvatiche.

Nella produzione di miele, frequentemente, è possibile ottenere mieli che provengono in maniera pressoché esclusiva dal nettare (o dalla melata) di una sola pianta; si definiscono mieli uniflorali e la loro produzione è particolarmente diffusa in Italia, dove si considera che almeno il 60% delle produzioni di miele sia di questo tipo. È possibile ottenerli quando una fioritura è sufficientemente estesa, abbondante e non contemporanea ad altre fioriture importanti. L’apicoltore deve preoccuparsi di mettere melari vuoti al momento dell’inizio della fioritura e levarli prima che intervenga una fioritura successiva. Non è invece possibile separare in un secondo momento quello che le api raccolgono insieme; nel caso di fioriture contemporanee si otterranno mieli misti (millefiori).

La produzione di miele

La produzione di miele consiste quindi nel fare in modo che gli alveari siano forti nel momento in cui interverranno le fioriture, eventualmente spostandoli sui luoghi delle fioriture e ponendo i melari vuoti pronti per accogliere il raccolto. Il miele sarà raccolto prelevando solo i melari che contengono miele maturo, riconoscibile in quanto le api avranno sigillato le celle che lo contengono con un sottile strato di cera (opercolo). Questo è molto importante per assicurare la conservabilità del prodotto; infatti, il miele è lungamente conservabile solo se le api hanno avuto tempo sufficiente per fare evaporare l’acqua in eccesso.

Tale importante requisito qualitativo è determinato dal momento in cui l’apicoltore effettuerà la raccolta. Per prelevare i melari, l’apicoltore dovrà liberarli delle api; in genere i piccoli apicoltori usano l’apiscampo (un dispositivo che fa uscire le api dal melario ma non ve le lascia rientrare, da applicare il giorno prima della raccolta), mentre le aziende di grandi dimensioni usano il soffiatore (le api sono allontanate con un forte getto d’aria).

Il processo di estrazione del miele è molto semplice ed è sostanzialmente identico sia nel caso di produzione artigianale che su ampia scala, cambiando solo il livello di meccanizzazione delle operazioni. I favi di miele del melario vengono liberati dallo strato di cera che sigilla le cellette con il miele (disopercolatura) in modo manuale, con un apposito coltello, o meccanico, con apparecchi che tagliano o frantumano l’opercolo. I favi vengono quindi messi in un estrattore centrifugo, che per mezzo della rotazione fa fuoriuscire il miele dai favi senza danneggiarli. Il miele che se ne ottiene viene liberato dalle piccole impurità (soprattutto pezzetti di cera) per mezzo di una filtrazione e di una successiva decantazione che lo libera anche dalle bolle d’aria inglobate nei precedenti processi. Non è necessario nessun altro trattamento e il miele può essere direttamente confezionato nei recipienti finali, o stoccato in fusti per la conservazione o la commercializzazione all’ingrosso.

 

Fonti:

informamiele.it

unibo.it

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