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Il Bio come alleato della Biodiversità

Il capitale naturale come risorsa esauribile

Oggigiorno stiamo vivendo un periodo di profonde trasformazioni ecosistemiche in cui la natura e i suoi contributi alle persone, rappresentati sia dalla sua intrinseca biodiversità sia dai servizi ecosistemici che essa offre, si stanno deteriorando a livello mondiale. Questo periodo geologico è definito dalla comunità scientifica come Antropocene, termine per specificare come attualmente l’uomo è ritenuto il primo attore dei profondi cambiamenti che stanno avvenendo a livello ecologico, geologico e climatico. La causa risiede nell’utilizzo del Capitale Naturale come capitale libero e risorsa inesauribile alla base degli odierni processi economici e specificamente industriali. Il Capitale Naturale consiste nella biodiversità, nella varietà di ecosistemi e nel complesso delle utilità che hanno reso possibile la nascita e la sopravvivenza della specie umana.

Il servizio Ecosistemico come benessere sociale

L’attività svolta da molti insetti pronubi (ossia insetti che impollinano i fiori) è necessaria al sostentamento delle forme di vita sulla Terra che contribuiscono, sia direttamente che indirettamente, anche al benessere dell’umanità indentificando quindi parte del valore economico totale del pianeta.

Infatti l’impollinazione è un “servizio” operato da molte specie di insetti, alcune specie di uccelli e mammiferi che, attirati da forme, colori, odori e strutture florali delle piante a fiori ne sfruttano la produzione del nettare e del polline come fonti alimentari. L’intervento dell’uomo sul Capitale Naturale, però, può però modificare repentinamente i rapporti e la stessa sopravvivenza di insetti e piante stesse.

Non più insetti impollinatori

I “responsabili” della diminuzione nella produzione agricola sarebbero sia i continui cambiamenti climatici, che il sostanzioso utilizzo di pesticidi e fertilizzanti in agricoltura che spesso, oltre a colpire le fioriture, possono recare danno anche all’ape stessa.

Il declino del numero di impollinatori ha un duplice riscontro tanto economico quanto ambientale. Nel primo caso, incide direttamente sulla perdita di produzione delle materie prime da essi prodotte come miele, propoli, polline, cera e indirettamente sui settori che dipendono dall’impollinazione zoofila, primo fra tutti il settore agroalimentare. Si stima che più del 75% delle colture a scopo alimentare o per la produzione di medicine dipendono dalle azioni svolte da insetti o mammiferi impollinatori. Pertanto diverse produzioni agroalimentari mondiali sono vulnerabili in caso di perdita di impollinatori, in particolare le colture di piante ad attività stimolante (come il tè, caffè, tabacco) sono le più colpite dal declino degli impollinatori, seguite dalla produzione di frutta secca, frutta, oli edibili e verdura.

Questi dati sottolineano quindi l’importanza di una maggiore attenzione al metodo di produzione, che nel biologico potrebbe trovare una strada verso una maggiore sostenibilità, qualità e salubrità dei prodotti apistici.

Cosa significa “Bio”

Ce lo siamo chiesti più volte, ma cosa significa esattamente “biologico”? La definizione di “agricoltura biologica” la si può trovare nel Reg. UE 848/2018, che sostituisce il precedente Reg. CE 834/2007, che definisce la produzione biologica come “un sistema globale di gestione dell’azienda agricola e di produzione alimentare basato sull’interazione tra le migliori prassi in materia di ambiente ed azione per il clima, un alto livello di biodiversità, la salvaguardia delle risorse naturali e l’applicazione di criteri rigorosi in materia di benessere degli animali e norme rigorose di produzione confacenti alle preferenze di un numero crescente di consumatori per prodotti ottenuti con sostanze e procedimenti naturali.

Si intende, quindi, un modo di produrre alimenti più rispettoso nei confronti dell’ambiente utilizzando metodi sostenibili, che possono includere: ampia rotazione delle colture, limitazione per quanto riguarda l’utilizzo di pesticidi e fertilizzanti sintetici, divieto di utilizzo di OGM e l’utilizzo di specie vegetali e animali resistenti alle malattie e adattate alle condizioni locali.

Apicoltura biologica e la differenza con quella convenzionale

Essendo considerata una pratica agricola, anche l’apicoltura biologica è normata dal nuovo Reg. UE 848/2018. La differenza tra prodotti biologici e non derivati dall’apicoltura è data quindi dal diverso modello produttivo che garantisce la tipicità e la salubrità del prodotto che non è collegata solo alla tipologia di interventi sanitari. Prende in considerazione infatti anche altri aspetti, come la qualità dell’ambiente interno ed esterno dell’alveare, le condizioni di estrazione, la trasformazione e lo stoccaggio.  Per aprire un’azienda agricola biologica e ottenere la relativa certificazione è necessario rispettare determinati requisiti, e lo stesso vale per il settore apistico. Per cominciare ci si affida a un organismo certificatore che ha il compito di eseguire i dovuti controlli e indirizzare l’azienda nel procedimento per la certificazione. Bisogna precisare che non si nasce apicoltori biologici, ma lo si diventa dopo un periodo di conversione obbligatorio, che va da un minimo di uno a un massimo di tre anni. Questa fase può essere considerata conclusa quando tutta la cera presente nei favi viene sostituita con cera biologica: questa è fondamentale per i telaini, in cui viene conservato il miele prodotto delle api e con cui quindi avviene il contatto diretto, e per questo non contenere sostanze tossiche o vietate dal regolamento.

I requisiti per ottenere la certificazione

Ovviamente questa pratica di per sé non è sufficiente. Per ottenere la certificazione biologica, infatti, bisogna prendere in considerazione anche diversi fattori, definiti interni quando sono legati all’animale stesso, come l’origine, la nutrizione e le cure, o esterni quando riguardano l’ambiente, le arnie in cui l’animale vive e l’estrazione del miele. Vediamo allora nel dettaglio tutti i fattori e i requisiti necessari per diventare biologici.

Origine delle api

È necessario privilegiare le razze autoctone secondo la loro naturale distribuzione geografica quali l’Apis mellifera ligustica (che si adatta alle condizioni climatiche e geografiche di quasi tutto il territorio italiano), l’Apis mellifera sicula (nella sola regione Sicilia) e l’Apis mellifera carnica (nell’est del Friuli-Venezia Giulia). Inoltre, gli sciami e le api regine acquistate devono provenire da aziende biologiche certificate.

Nutrizione delle api

In generale non è permesso stimolare le api utilizzando nutrimento artificiale e alla fine della stagione produttiva, agli alveari, devono essere lasciate abbondanti scorte di miele per permettere agli animali di superare il periodo invernale. Sono ammesse delle eccezioni solamente nel caso in cui la sopravvivenza degli alveari sia minacciata da condizioni climatiche avverse e tra l’ultima raccolta di miele e 15 giorni prima dell’inizio del successivo periodo di disponibilità del nettare. L’alimentazione di soccorso va effettuata con l’utilizzo di miele, zuccheri semplici (glucosio e fruttosio) e saccarosio che, a loro volta, devono essere certificati biologici.

Profilassi e cure veterinarie delle api fanno la differenza

Nel caso di malattie o di infestazioni, le famiglie colpite devono essere curate e, nell’evenienza, isolate in apiari appositi. Per la cura è consentito solamente l’impiego di medicinali autorizzati. Uno dei parassiti più comuni e conosciuti in apicoltura è la Varroa destructor, in grado di attaccare e uccidere le larve dell’insetto, oppure può colpire l’ape in età adulta impedendo lo sviluppo completo delle ali (e di conseguenza il volo) e la capacità di impollinazione dei fiori per la produzione di miele. Per il trattamento contro la Varroa non è consentito l’utilizzo di presidi chimici, mentre è consentito quello di prodotti a base di acido formico, acido ossalico (già presenti in natura), acido acetico e acido lattico. Il loro impiego è da preferire in quanto le api sopportano meglio gli acidi e perché, secondo le ultime ricerche scientifiche, la Varroa ad oggi non ha ancora sviluppato caratteristiche di resistenza contro queste molecole.

Non sottovalutare la posizione degli alveari

Un altro aspetto fondamentale riguarda il posizionamento degli apiari: deve essere tale che, nel raggio di 3 km dal luogo in cui si trovano, le fonti di nettare e polline siano costituite da coltivazioni che seguono il metodo biologico o in cui sia presente una flora essenzialmente spontanea. L’apicoltore può decidere di posizionare i propri alveari all’interno di aziende agricole biologiche o in zone di montagna. Nelle stesse aree non devono essere presenti fonti di inquinamento come, ad esempio, strade a elevata percorrenza, discariche, aree industriali e così via.

Caratteristiche delle arnie e pulizia

Anche le arnie devono rispettare una serie di requisiti specifici: ad esempio, devono essere costituite solamente da materiali naturali come il legno, ed è consentito il solo utilizzo di vernici atossiche ad acqua all’esterno, così come possono subire trattamenti fisici come l’impiego di vapore o la fiamma diretta per la disinfezione. È vietato l’utilizzo di arnie in polistirolo in quanto può essere rosicchiato dalle api e di conseguenza ritrovarsi successivamente all’interno del prodotto finale.

Smielatura ed estrazione del miele

Il miele può essere raccolto quando l’opercolatura – ovvero, la cera che ricopre gli opercoli presenti nel favo – è superiore al 70%. Per l’estrazione del miele è vietato l’utilizzo di favi che contengono covate, ossia la presenza di larve, e deve essere effettuata in ambiente che non superi i 30 gradi di temperatura e con attrezzature in acciaio inox. Il laboratorio di smielatura deve essere utilizzato esclusivamente per smielare miele biologico.

Biologico in tutta la filiera

Ovviamente il metodo biologico deve essere rispettato lungo tutta la filiera produttiva, per questo motivo anche il confezionamento e l’etichettatura del prodotto sono assoggettate a determinate regole. Sono ammessi all’utilizzo solamente contenitori in vetro, terracotta o ceramica atossica e il miele non deve subire pastorizzazione e/o sterilizzazione. Per quanto riguarda l’etichettatura, è obbligatorio inserire le seguenti informazioni: quantità netta del prodotto, termine minimo di conservazione, il nome o la ragione sociale e la sede del produttore, il Paese o i Paesi di origine, il lotto.

Se tutti i criteri sopra indicati vengono rispettati da parte del produttore e di conseguenza viene dato il via libera da parte dell’ente certificatore, l’UE ha reso obbligatorio l’utilizzo del marchio comune del biologico, a partire dal 2007, per tutti i prodotti confezionati realizzati nel territorio della Comunità Europea.

Una questione di qualità, trasparenza e sostenibilità

L’ottenimento della certificazione BIO, dunque, non dipende solamente dalla tipologia di interventi sanitari che vengono effettuati, ma è dato da un insieme di normative che, unite al buon senso e alla buona volontà e onestà del produttore, vanno rispettate lungo tutto il processo produttivo. Inoltre, i requisiti per definirsi un’azienda o, come in questo caso, un’apicoltura biologica, devono essere mantenuti nel corso degli anni. Questo sia per evitare, nel caso vengano effettuati controlli da parte dell’ente certificatore, sanzioni o, nel peggiore delle ipotesi, la revoca della certificazione, sia per accrescere la fiducia da parte del consumatore che tende, sempre di più, a scegliere alimenti prodotti nel rispetto dell’ambiente.

Dunque produrre miele biologico significa essere in linea con il rispetto dell’ambiente, degli animali, dell’ecosistema e della biodiversità.

 

 

Fonti:

informamiele.it

unibo.it

bioapi.it

ilgiornaledelcibo.it

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