Per “cambiamenti climatici” si intendono le variazioni a lungo termine delle temperature e dei modelli meteorologici. Queste variazioni possono avvenire in maniera naturale; tuttavia, a partire dal 19° secolo, le attività umane sono state il fattore principale all’origine dei cambiamenti climatici, imputabili essenzialmente alla combustione di combustibili fossili (come il carbone, il petrolio e il gas) che produce gas che trattengono il calore.
I cambiamenti climatici interessano tutte le regioni del mondo. Le calotte polari si sciolgono e cresce il livello dei mari. In alcune regioni le precipitazioni e i fenomeni meteorologici estremi sono sempre più diffusi, mentre altre sono colpite da siccità e ondate di calore senza precedenti. Inoltre, i cambiamenti climatici rappresentano una minaccia molto grave e le loro conseguenze si ripercuotono su molti aspetti diversi della nostra vita.
La crisi climatica ha aumentato la temperatura media globale e sta portando a temperature estreme più frequenti, come nel caso delle ondate di calore. Temperature più elevate possono causare un aumento della mortalità, una minore produttività e danni alle infrastrutture. Si prevede inoltre che le temperature più elevate provocheranno una diversa distribuzione geografica delle zone climatiche.
Questi cambiamenti stanno alterando la distribuzione e l’abbondanza di molte specie vegetali e animali, che sono già sotto pressione a causa della perdita di habitat e dell’inquinamento.
I cambiamenti climatici si stanno verificando a ritmi talmente veloci che numerose specie animali e vegetali stentano ad adattarsi. Vi sono prove evidenti che dimostrano che la biodiversità sta già reagendo ai cambiamenti climatici e continuerà a farlo.
Gli impatti diretti comprendono i cambiamenti della fenologia (comportamento e ciclo di vita delle specie animali e vegetali), l’abbondanza e la distribuzione delle specie, la composizione della comunità, la struttura dell’habitat e i processi ecosistemici.
I cambiamenti climatici stanno inoltre provocando impatti indiretti sulla biodiversità attraverso cambiamenti nell’uso del suolo e di altre risorse. Questi possono essere più dannosi degli impatti diretti a causa della loro dimensione, portata e velocità. Gli impatti indiretti comprendono: perdita e frammentazione di habitat; sfruttamento eccessivo; inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo e diffusione di specie invasive. Ridurranno ulteriormente la resilienza degli ecosistemi ai cambiamenti climatici e la loro capacità di fornire servizi essenziali come la regolazione del clima, il cibo, l’aria e l’acqua pulite e il controllo delle inondazioni o dell’erosione.
L’effetto dei cambiamenti climatici sulla produzione mondiale di miele è già evidente.
Nel 2018 la produzione di miele si è attestata, secondo i dati FAO, su circa 1,86 milioni di tonnellate, con un incremento negli ultimi 10 anni del 23%. La produzione è concentrata prevalentemente in Asia (49%), Europa (21%) e Americhe (18%). Per quanto riguarda l’Europa, l’Italia è il quarto paese per numero di alveari (1,4 milioni), dopo Spagna (2,9 milioni), Romania e Polonia (rispettivamente 1,8 e 1,6 milioni di alveari). A livello regionale, la regione più produttiva è il Piemonte, seguita da Toscana e da Emilia-Romagna.
Il 2019 è stato un anno che ha messo in evidenza la gravità degli effetti del cambiamento climatico sull’apicoltura, infatti si sono susseguiti eventi meteorologici estremi accompagnati da episodi violenti (grandine, burrasche di vento, esondazioni) che hanno determinato elevate perdite di produzione.
Ancora più evidente è stato il 2023, dove tempo instabile, freddo tardivo, piogge battenti, alluvioni, inondazioni, si sono susseguite creando seri problemi alla produzione apistica. Le precipitazioni eccezionali, che hanno messo in ginocchio l’Emilia Romagna e parte delle Marche, sono state la mazzata finale in un momento delicato e cruciale della campagna del miele, all’inizio dei raccolti delle prime fioriture. Come se non bastasse, all’inizio di aprile, in diverse aree del nord Italia ci sono state intense gelate che hanno danneggiato i germogli delle piante di acacia in fase di sviluppo.
A inizio maggio, in un momento fondamentale per il miele di acacia e di agrumi, che rappresentano lo zoccolo duro dell’apicoltura nazionale, le tanto attese piogge si sono scatenate con una intensità e continuità straordinarie, impedendo alle api di bottinare per diversi giorni. In alcune zone le forti grandinate hanno distrutto la fioritura dell’acacia.
Le api risultano essere stressate dai cambiamenti climatici, il loro habitat si sta modificando e devono convivere con questo, ma diventa sempre più difficile per la fecondazione delle api regine e la vita dell’intero alveare. Dobbiamo puntare almeno sul mantenimento dell’ape, l’insetto impollinatore più importante del mondo. Che mondo sarebbe senza api?
Dott. Luigi Parrotta, ricercatore nel settore scientifico disciplinare della Botanica Generale presso il Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche ed Ambientali dell’Università di Bologna.